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Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze

Radici scalvine

Al Museo di Schilpario un viaggio nel tempo, fra natura, lavoro, ingegno e fatica.
La semplice forza dell’economia circolare.

Come si viveva fino alla metà del secolo scorso? Come si viveva sulle nostre montagne o nelle campagne quando parole come elettronica, informatica, globalizzazione ancora non esistevano?

È una domanda che si fa più interessante man mano che gli anni scorrono e ci portano verso il futuro. È un bisogno di sapere da dove veniamo, come siamo arrivati fino a questo punto.
È un bisogno di verità.

Il museo etnografico di Schilpario è stato uno dei primi in Bergamasca ad affrontare la questione, a fornire delle risposte.
Nel modo più semplice: raccogliendo gli oggetti, le parole, le immagini di quella civiltà della montagna che sembra scomparsa.

La civiltà che affrontava la vita quando non esistevano i chip e gli smartphone, quando non arrivavano prodotti importati dalla Cina, ma nemmeno da altri paesi. Quando la maggior parte di quello che serviva veniva realizzato sul posto, sfruttando la natura con ingegno, con pochi mezzi, in una maniera del tutto rispettosa dell’ambiente, in un’economia perfettamente circolare.
Nulla andava sprecato. Tutto veniva riutilizzato, l’inquinamento non esisteva.

Dagli anni Settanta in poi, sono nati diversi musei o raccolte etnografiche,
in molti paesi della Bergamasca.
Schilpario è stato fra i primi, non a caso: ufficialmente il museo è nato nel 1988, ma una raccolta esisteva anche in precedenza.


La terra di Scalve è l’angolo più remoto della provincia di Bergamo, una valle sperduta, oltre la Presolana, e un po’ incantata.
Una valle la cui ricchezza erano i boschi, i torrenti, i prati, le miniere.
Il museo è stato ricavato dal restauro del vecchio mulino, la grande pala mossa dalla forza del torrente è ancora perfettamente funzionante.
Quella attuale è stata costruita nel 1950, è di produzione locale.

Raccontava uno dei costruttori: «Eravamo andati verso Lecco per vedere se ne trovavamo una già usata, ma non andavano bene per le nostre necessità… Non abbiamo fatto nessun disegno per costruirla… abbiamo fatto giù il mezzo cerchio e sagomavamo così, solo con le misure, avevamo il legname
già piegato, e tagliavamo con precisione i settori, l’interno della ruota lo abbiamo fatto in lamiera, lamiere zincate abbastanza grosse, prima era in legno… la parte in legno è tutta nuova, il resto della ruota è in parte modificato, recuperando pezzi di quella vecchia».

Nel vecchio edificio del mulino, al piano di sotto si trova il museo, a quello di sopra la biblioteca. Un centro di cultura.

Ampio spazio è dedicato alla miniera perché a Schilpario e in tutta la Valle di
Scalve questa attività è stata molto importante per secoli e secoli, fin da tempi preromani. In valle si estraeva in prevalenza il minerale di siderite, dal quale veniva ricavato il ferro; dopo lo scavo e l’estrazione, il minerale veniva lavorato fino alla produzione di utensili e di armi.
Per ricavare il ferro erano necessari i forni, che venivano alimentati con la legna o con il carbone di legna, che veniva prodotto nei boschi dagli stessi boscaioli che erano anche carbonai, cioè erano capaci di produrre il carbone mediante la legna con la tecnica del Poiàt. Il poiàt era un forno che veniva allestito nel bosco e bruciava in maniera lentissima eliminando l’acqua della legna e trasformandola in una sorta di carbone, molto più calorico e redditizio. E anche molto più facilmente trasportabile.

Il Museo rappresenta un tuffo in un mondo ancora vicino a noi, eppure  lontano. Un mondo che in Valle di Scalve e a Schilpario in qualche modo ancora vive, nelle tradizioni, nelle relazioni familiari, ma anche in questi  l luoghi particolari che chiamiamo musei.

Alcuni appassionati del paese hanno ridato vita a parte delle miniere che oggi rappresentano una visita suggestiva, indimenticabile, un viaggio nelle viscere della terra, nei corridoi, tunnel, stanze scavate dai minatori. Completano la possibilità di entrare in questa cultura di una tecnologia arcaica anche l’esposizione mineraria di Casa Gregori, il museo dei minerali e dei fossili (all’hotel San Marco di Pradella, frazione di Schilpario).
Ma anche il museo dell’illuminazione mineraria, il primo in Europa: la storia di come portare la luce nei cunicoli delle miniere è tutt’altro che scontata e ha posto problemi molto rilevanti.


Il presidente delle commissione che gestisce il Museo Etnografico è l’assessore alla Cultura del paese, Gianmario Bendotti, che ha in mente una particolare integrazione fra museo e biblioteca. Spiega: «Vogliamo fare in modo che nasca una biblioteca museale, accanto a quella generale, recuperando tutti i testi e video riguardanti Schilpario e la valle, una biblioteca che possa raccontare il più possibile del nostro territorio. Raccogliamo anche videocassette con interviste a persone anziane fatte anni orsono, persone che magari non ci sono più e che testimoniano di un tempo lontano, raccontano anche degli oggetti che si trovano nel museo, oggetti della miniera o della vita quotidiana, o dell’economia contadina…».

Per ricordare, e guardare avanti.