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Oro vivace, classe di cristallo

Michela Moioli, dal trionfo olimpico alla Coppa del Mondo: “La famiglia e la mia Valle mi aiutano a vincere”

L’amore per la terra dà solo buoni frutti. Riprendendo un celebre spot televisivo, Michela Moioli ne sembra la perfetta trasposizione.
Il 17 luglio ha compiuto venticinque anni e ha già imboccato la strada giusta per diventare una delle atlete più vincenti di sempre. Lo snowboard cross da passione si è trasformato ben presto in professione, capace di far esplodere il suo talento innato.

Da Colere e dalle prime discese nello Scalve Boarder Team è giunta alla vetta del mondo nel 2018, con il titolo olimpico conquistato a Pyeongchang, in Corea. Un oro strepitoso, storico, non di certo irripetibile, che l’ha ripagata del crac al ginocchio subito quattro anni prima a Sochi (Russia) proprio mentre il terzo gradino del podio, ossia la medaglia di bronzo, sembrava ormai a un passo.

Olympics winter games PyeongChang 2018. Michela Moioli Gold medal in snowboard cross.
Phoenix Park 16/02/2018 Photo: Pentaphoto/Marco Trovati

In quel frangente, la fuoriclasse della Busa di Nese si è piegata e non spezzata, ha risalito la china passo dopo passo, aggrappandosi alla fame di riscatto così come a tutto l’amore per la sua famiglia, rinsaldando ulteriormente la simbiosi con la sua valle. Il trionfo a cinque cerchi vale una carriera. Avrebbe potuto farla schizzare in un mondo parallelo facendole perdere il contatto più genuino con le sue radici e con la sua gente, contaminando una semplicità e un’umiltà tanto contagiose quanto impossibili da scalfire. Più forti anche del rischio vertigine che non l’ha intaccata.

FIS Snowboard Cross World Cup 2019 /2020. Michela Moioli (ITA) in action Cervinia 21/12/2019. Pier Marco Tacca/ Pentaphoto


La differenza? Il dna cento per cento seriano
. I valori sani trasmessi da papà Giancarlo e mamma Fiorella sono un filo conduttore robusto e imprescindibile, al pari di due figure che insieme alla sorella Serena rappresentano il suo piccolo grande mondo. Una conferma? La sera prima dell’apoteosi olimpica in Corea, mentre l’ansia e la paura di non farcela iniziavano a fare capolino, ci ha pensato una cena con “le sue donne” e con il presidente dello Scalve Boarder Team Andrea Bettoni a cancellare ogni ansia caricandola a dovere verso il sogno che si sarebbe materializzato poche ore più tardi. «Posso essere in Italia, in Europa o nel mondo – racconta Michela -, ma ho sempre bisogno di sentire un contatto costante con i miei affetti. A volte uno sguardo, un abbraccio o una semplice parola fanno la differenza. In questo periodo sta prendendo forma la casa in cui andrò a convivere con Michele, la mia dolce metà. E mi sposto solo di qualche chilometro, ad Alzano Sopra. Non ho alcuna intenzione di lasciare il mio territorio, dove sono nata e sono cresciuta. Mi mancherebbero troppo i suoi colori, i suoi profumi e le sue bellezze».

Lei, che la bellezza la esprime all’ennesima potenza con la sinuosità e la potenza del movimento sulla tavola mixata a una competitività che si può paragonare al suo ossigeno, talvolta annulla in un modo particolare la distanza: «Mio papà è agronomo – continua Michela -, i prodotti che ha sempre coltivato, cercato e migliorato mi hanno accompagnato fin da piccola. Mi piace dilettarmi nell’agricoltura: è un modo per condividere tempo con lui e riscoprire mestieri che rischiamo di perdere. Quando ho bisogno di sfogarmi uso la vanga, mentre la potatura delle piante è un’attività leggera che mi rilassa. Quanto al cibo, adoro i formaggi e le uova, mentre la mela speciale (il “pom Milìˮ, ndr) fa sempre parte del mio bagaglio. Che mi trovi allo Stelvio in allenamento o in Coppa del Mondo. E ne ho portate un bel po’ anche all’Olimpiade, temendo oltretutto che non passassero i controlli. Tornata da Pyeongchang con la medaglia al collo, inoltre, sulla mia tavola non è mancato nemmeno un bel piatto di brofadei». Alimentazione da campionessa, spirito di sacrificio e abnegazione altrettanto. Tradotta anche in una parte fondamentale della marcia d’avvicinamento agli impegni agonistici ossia la preparazione a secco: «Non mi faccio mai mancare qualche camminata sulle nostre montagne – rileva -, con doverosa puntata nei rifugi. Adoro la bici e fino a qualche tempo fa macinavo chilometri lungo la ciclabile del Serio con la mountain bike, visto che non è asfaltata. Poi sono passata alla bici da strada, per cui le mie mete sono diventate, tra le tante, Selvino, Monte di Nese, Colle di Zambla, Val Rossa, Valcanale o il Colle Gallo».

 

Dell’annata che l’ha portata a mettere le mani sulla sua terza Coppa del Mondo – sei gare, tre primi e tre secondi posti – restano, in particolare, due spaccati che la dicono lunga sulla spiccata sensibilità dell’alzanese, colpita al cuore dalla pandemia. Dapprima la commozione a Sierra Nevada, pensando alla sofferenza della sua gente; a Veysonnaz, invece, una doppia dedica: il trofeo di cristallo a tutti i nonni d’Italia e alla sua Alzano, con una scritta sul casco. «Adesso – confessa – vorrei avere lo stemma del mio paese sulla tavola. È stata dura vivere una tragedia simile sulla propria pelle e ogni giorno contattare amici o conoscenti e capire che tutti, in un modo o nell’altro sono stati colpiti. Certe cose s’immaginano sempre molto lontane da noi. Però porterò sempre con me tutta la solidarietà che noi bergamaschi abbiamo saputo mettere orgogliosamente in campo, mostrandoci di una compattezza unica nel momento più buio».