Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze
Il nido del Falco
Paolo Savoldelli, fra salite e discese ardite in ValSeriana ed al Giro d’Italia: semplice come la natura e la nostra gente
Il Falco è invecchiato.
«È vero, un po’ sì. Però lo spirito c’è sempre, quello non si rassegna mai.
Adesso sono solo più tranquillo. Anche se quando c’è da tirare e andare forte con la bici non mi tiro indietro. Resto un competitivo».
Paolo Savoldelli è sempre lui. È rimasto a Rovetta, dove è nato e cresciuto, diventato grande e poi campione, ed è rimasto lì anche quando è diventato uno dei big del ciclismo italiano.
«Mi sono dovuto spostare parecchio quando correvo in bici, per gli allenamenti e naturalmente per le gare. Ma sinceramente non ho mai pensato di cambiare città o territorio, non ho mai pensato di trasferirmi da un’altra parte, qui ci sono le montagne e il lago, le strade e la natura, non manca niente, è un posto tranquillo e si vive bene».
Prima la vita di Paolo era una trottola, i mesi delle corse a tappe li passava di qua e di là. Adesso che fa l’imprenditore riesce a vivere tutto con più naturalezza, con più calma. Con due soci ha messo su un’impresa edile: compra terreni, ci costruisce case.
«Uno che ha fatto unicamente ciclismo o in generale sport per una vita è normale che sia un po’ indietro, la gente che ha fatto altre attività è avanti di almeno quindici anni. Io però ho sempre avuto la passione delle costruzioni e un piede nel mondo dell’immobiliare. Non è più come dieci, quindici anni fa».
Il mondo è cambiato, non è invecchiato solo il Falco “Saoldèl”.
A 47 anni Savoldelli, professionista dal ’98 al 2008, vincitore di due Giri d’Italia, è però ancora l’uomo genuino che in discesa sembrava non avere mai paura. Celebri sono rimaste le sue picchiate, quelle che gli hanno fatto guadagnare secondi e in qualche caso minuti preziosi quando doveva staccare gli inseguitori e andare a vincere le tappe; le stesse picchiate che poi convinsero una giornalista a chiamarlo “il Falco”, perché aveva quella mantellina che svolazzava e la velocità lo rendeva tutte le volte bellissimo e irraggiungibile come un falco.
«Da piccolo andavo con la bmx in ValSeriana, mi piaceva andare nei boschi con gli amici. Capitava di dover fare le discese, io ero sempre il primo ad arrivare: mi toccava aspettarli. All’inizio era solo un divertimento, poi ho capito che poteva essere una dote e un’arma da sfruttare. Ma non sono mai stato uno che corre rischi inutili. L’ho fatto solo quando è stato necessario».
Un giorno il suo papà uscì in bici con il fratello e si portò dietro anche il suo
bambino. Non darà nessun fastidio, disse allo zio di Paolo. Al ritorno il piccolo li staccò tutti e due. Savoldelli arrivava a toccare i cento all’ora, e se lo guardavi dalla tv al Giro o al Tour de France ti dovevi appiccicare al divano, tanta era la paura che ti faceva.
«Per allenarmi e migliorare partivo con la mia bicicletta e scendevo verso Lovere, cercando di fare i due tornanti prima del lago senza toccare i freni. Raggiungere certe velocità non è mai semplice e ricordo ancora che in una gara da dilettante ho visto sul mio contachilometri i 111 chilometri orari. Però penso di aver raggiunto velocità superiori».
Ora la sua vita è diversa, non scende più in picchiata. Savoldelli riesce persino a godersi l’aria, i paesaggi e il panorama.
«Del ciclismo mi manca il contesto. Non era facile, ma riuscivamo a divertirci. Amo lo sci e l’alpinismo, eppure la fatica che mi dà la bicicletta non me la dà nulla. Era un lavoro, un mestiere stressante e pericoloso. Ora la bicicletta la vivo in un altro modo: in cima a una salita ora posso fare una sosta, adesso vado al bar a fare due chiacchiere o a mangiare».
Quelli del Falco erano gli anni dei grandi campioni bergamaschi.
«Una volta a un Tour de France eravamo al via in diciotto bergamaschi. Diciotto, hai presente? A vincere c’erano anche Gotti e Guerini. Adesso c’è Consonni, la nostra speranza è lui».
Non c’è nessuno più tipico di Savoldelli, l’espressione della Valle è la sua. Uomo mite, ma pragmatico. Faticatore, fedele, gentile. Un mix di tutto il bergamasco che conoscete.
«Bergamo e i dintorni per me sono importanti. Io vivo soprattutto la parte alta, la conosco molto bene, giro tutti i posti, tutte le valli, e ho visitato parecchio. Magari mancano un po’ i collegamenti, le nostre valli dovrebbero essere collegate con le stradine come fanno in Trentino. Tutto diventerebbe più fruibile. Il tempo delle grandi opere è finito, costano tanto e sono difficili da mantenere. Se fai cose piccole e le metti insieme è meglio».
La sua compagna gestisce un la Baita Valle Azzurra, un ostello a Valzurio, che è un posto piccolo ma pieno di fascino.
«È un paesino, gli abitati sono sedici, ma è anche un posto meraviglioso per le camminate. C’è un scena che mi lascia sempre senza fiato: lì c’è un contadino che ha una stalla e la sua mamma ogni mattina fa uscire le mucche tre alla volta, che in fila vanno alla fontana, bevono, e tornano indietro. È un altro mondo».
Quello di Savoldelli è però ancora libero da schemi. Un modo semplice, equilibrato come le nostre valli. Ci sono in più i social, che lui non frequenta quasi mai. Preferisce il suo piccolo mondo, quello che è espressione di ogni cosa.
«Sì, un posto preferito ce l’ho: una piccola frazione di Colere, Magnone si chiama, i miei genitori hanno una casa, è un posto molto bello. Tranne nel punto dove hanno casa loro, per tre mesi l’anno il sole non arriva. Resta all’ombra. Tutti lo aspettano, fanno la conta dei giorni. E poi, quando finalmente arriva, quando spunta per la prima volta, è una festa».
Articolo di Giorgio Burreddu per VALSeriana & Scalve Magazine
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