Tante idee per vivere al meglio le tue vacanze
I signori dei tre anelli
Pedalare gravel in piena libertà, lungo tre circuiti in ValSeriana, Val di Scalve e Val Borlezza. Fra laghi, rifugi, santuari e montagne li abbiamo provati, tutti d’un fiato.
“Un brevetto per domarli tutti, un brevetto per trovarli, un brevetto per conquistarli e dall’oscurità mostrarli”. Il Gravity Gravel Brevet è una sfida da lanciata da Promoserio, una sorta di provocazione, per chi non crede sia possibile nelle nostre valli fare gravel, cioè percorrerle in bicicletta su fondi ghiaiosi e strade sterrate. Zone che ben si presterebbero ad un revival del Signore degli Anelli, con radure di quota estese e senza barriere, con laghi che brillano al passaggio di una lama di alluminio o di carbonio e con boschi fitti che d’estate donano il sollievo di un brivido di freschezza. Su destrieri più selvaggi di una bici da corsa, dotati di pneumatici grezzi e larghi, biciclette gravel o mountain-bike, a motore o polpaccio, le possibilità si moltiplicano, le strade aumentano a dismisura, gli orizzonti possibili illuminano molte più creste e valli, di quanto possano fare le strade asfaltate. I bivi, dove poter scegliere una strada meno trafficata e più libera, nel vero senso della parola, sono molti di più. Non c’è terreno che tenga: ghiaia, fango, erba non sono un limite né alla percorrenza né alla creatività.
Ed è anche per questo che Promoserio ha pensato, studiato ed esplorato il proprio territorio, con occhi diversi, per facilitare la scoperta a chi abbia voglia di vivere con nuove sfumature il ciclismo nelle nostre Magnifiche Valli. Un brevetto composto da tre circuiti, per ora. Tre anelli appunto, ciascuno con peculiarità uniche e originali e un denominatore comune dal quale non si scappa: la salita. Del resto, chiunque abbia la passione per la bicicletta, non scapperà mai dalla salita. Proverà a nascondersi dietro alle solite battute sorde «è troppo dura», «per fortuna che dopo il tornante spiana», «chi me lo ha fatto fare», ma sarà sempre pronto a far cliccare il pedale spd, e ad alzare il mento verso l’alto. Ed è lassù che Promoserio ha cercato le perle gravel di Val Seriana, Val di Scalve e Val Borlezza. Per raggiungerle, l’ennesima sfida contro sé stessi e contro la gravità.
Con queste premesse non potevo che desiderare di affrontare tutti e tre i circuiti, il prima possibile. Mi piace seguire i consigli degli altri, prenderli e dare loro il mio colore. E rispetto al colore breve e intenso, mi attira molto di più una tinta fatta di pennellate lunghe: una giornata intera. Così, lo scorso ottobre, ho accettato la sfida: affrontare tutti e tre i circuiti, uno dopo l’altro, incatenando gli anelli tra loro. Tutti e tre partono e finiscono da Clusone, il che viene incontro alla mia piacevole follia.
Come mia abitudine, alla vigilia della pedalata preparo una decina di panini, le armature per le temperature variabili, e il destriero con le sue gomme a pressione bassa per combattere i rimbalzi dei terreni scoscesi. Studio i percorsi e le possibili vie di fuga. Il dubbio di non farcela c’è sempre, e dona un po’ di pepe all’avventura. Decido di iniziare dal circuito della ValSeriana, il più difficile con i suoi 85 km e 2.190 metri di dislivello, per poi acciuffare la Val di Scalve per le corna (lunghezza ben 71 km e 2.170 metri di dislivello) e concludere con il circuito dei laghi: con 65 km e 1.520 metri di dislivello, sulla carta il più semplice. Sulla carta.
Calcolatrice alla mano, 220 km per quasi seimila metri di dislivello positivo. I calcoli però preferisco lasciarli scorrere sulla strada, a ogni pedalata, e senza nessun obbligo o cronometro. Libero e con il mio passo: “lènt, ma seguènt”.
“Un brevetto per domarli tutti, un brevetto per trovarli, un brevetto per conquistarli e dall’oscurità mostrarli”. Mi sento un po’ Frodo, passando alle 4.30 dall’Orologio Planetario Fanzago, solo e piccolo, nel buio freddo di inizio ottobre.
Anello Valseriana
La frontale illumina la ciclabile della ValSeriana, quasi a simulare i fanali di un treno, impaziente di raggiungere la prima ascesa di giornata. E la pista ciclabile segue proprio le orme della vecchia ferrovia che collegava Clusone e Bergamo fino al 1967. I fanali delle macchine invece rimangono lontani, a volte mi sfiorano, corrono paralleli a me, ma io resto nascosto e protetto dal bosco sulla riva del fiume Serio. Da Cene il silenzio della Valle Rossa è accarezzato dal cicalare di qualche altro mattiniero su due ruote, che mi ricordano che oggi, 8 ottobre, è il giorno del Lombardia, la “classica delle foglie morte”. Le stesse foglie che calpesto quando a metà Valle Rossa prendo il primo vero bivio di giornata, abbandonando la provinciale e nascondendomi su una strada boscaiola che al buio è tutta mia. Mi godo il profumo bagnato di sottobosco e fango.
La seconda ascesa di giornata, dopo un breve tratto di discesa veloce, è salita vera. Di quelle sufficienti a rendere bella tosta un’uscita in bicicletta. Il sole che si accende timidissimo sul lago di Endine, mentre mi alzo sui pedali sulla Forcella di Ranzanico, calma il mio ritmo. È presto per sentirsi stanchi, meglio spegnere la frontale e abituare gradualmente la vista alla luce di un nuovo giorno che sorge.
A volte basta poco per azzerare la fatica e sentirsi freschi e all’alba di un’avventura lunghissima. Basta quel calore di fuoco che spunta dietro le creste dell’est invadendo l’aria, spennellando le acque del lago di Endine finché le molteplici luci che gli danno forma non si spengono una a una. Gli abitanti della Val Cavallina fanno colazione, io scollino alla Forcella, a 958 metri di quota. Mi sono già meritato la prima vera perla gravel del circuito ValSeriana. Il monte Sparavera a sinistra, i due laghi, Endine e perfino Iseo, laggiù a destra, il corpo che danza a un ritmo rockeggiante e regolare di ghiaia fine, con qualche intramezzo di cementate che paiono l’assolo del batterista con le sue linee di drenaggio parallele che suonano come un timpano. Il mondo civile e caotico a cui siamo abituati sparisce, aprendo scenari bucolici ed erbosi. Qui, la “Compagnia dell’Anello” verrebbe ripresa dall’alto, mentre accarezza veloce e leggiadra i pascoli costellati da pini e abeti di montagna. Le baite in sassi con le loro ante rosse sono dove Frodo e compagni andrebbero a cercare aiuto, ma non serve. L’antica Via della Lana non presenta pericoli, se non quello di invidiarla quando sarà finita. È un piccolo paradiso gravel sospeso in quota. Certo, sempre Gravity Gravel, con qualche tratto di vera salita, che segue la fisionomia delle Orobie che separano la Val Cavallina dalla Val Gandino. E fu proprio per collegare queste due valli operose, permettendo così il trasporto della lana peina (lana pregiata di Peia), che nel Medioevo venne disegnata questa splendida mulattiera. I toponimi ci circondano sussurrando nel silenzio sereno molte storie. Pozza di Lino, Prato dol Sul, Rocol de’lla Meserecórdia, Cà dol Fónt, Vesghér, Böllent, Grömèla, Mut Griù, Sparavera, Poiana.
Roccoli, rapaci e natura. J.R.R. Tolkien avrebbe potuto trovare molta ispirazione quassù per le sue storie. La Storia, quella vera, è invece testimoniata nel Museo della Resistenza, ospitato nella Malga Lunga, rifugio posto a 1.235 metri in territorio di Sovere, con una terrazza perfetta per appoggiare la schiena e allungare la vista. Supero il Pandino rosa del rifugio e mi involo in una discesa lunghissima. Il serpente d’asfalto ondeggia ad ampio raggio da una sponda all’altra, tra una chiesetta e l’altra, finché non raggiungo la Val Gandino e nuovamente “la civiltàˮ.
Nuovamente in ValSeriana, il circuito omonimo mi porrebbe di fronte ad una scelta. Si può tornare a Clusone, oppure salire ancora. Frodo però non ha mica scelta, o meglio l’ha fatta appena scaricate e mergiate le tre tracce in una sola. Da Colzate mi alzo sui pedali, fino a quel Santuario arroccato su roccia calcarea scura, che domi- na letteralmente la Valle. Lo vedo ogni santo giorno, lassù in alto, mentre pendolo verso Albino. La prospettiva opposta mi dona ancora più desiderio di godermi appieno l’avventura e la bellezza di questi angoli. Lascio alle spalle l’unico santuario d’Italia dedicato a San Patrizio, e ripensando alle cavalcate in Connemara, nelle Wicklow Mountains e sulle creste vertiginose delle Cliffs of Moher, lancio uno sguardo a chi mi ha accompagnato in quelle avventure d’oltre manica. Fiorella Mannoia parte nella mia testa e penso che il Cielo d’Irlanda sia lo stesso che poggia le sue nuvole sulla tranquillità desolata di Barbata. Cavalli, mucche, pochi umani, e le curve del Costone minuscole laggiù. E il Monte Alben, che fa il suo ingresso maestoso, in tutta l’asprezza delle sue rocce chiare di dolomia Principale e a un soffio di fiato. Fiato che inizia a essere più roco e severo, mentre il primo dei tre circuiti volge quasi al termine. Quasi, perché la discesa fino a Riso è tanto divertente quanto impegnativa. Il terreno misto, i roccoli che sparano, i freni che fischiano e i ponti di legno che scivolano mi fanno tirare un sospiro di sollievo quando scorgo il monumento ai minatori di Gorno, all’inizio della Val del Riso. La ciclabile mi riporta a Clusone, dove inforco il secondo circuito, il secondo film di questa saga d’avventura. È ancora mattina, e ripassare nuovamente dal punto iniziale mi fa azzerare la fatica, almeno mentalmente.
Anello Val di Scalve
Il circuito della Val di Scalve inizia subito alla grande, stuzzicando la mia voglia di sgasare nelle curve strette di bosco che separano Clusone e Rovetta, in località San Fransesc. Entro nel comune di Onore sui listelli di legno del “Gianluca’s bridge”, grande imprenditore bergamasco a cui devo molto. Quando faccio fatica, mi viene naturale pensare che sia giusto dedicarne in parte a chi non può più farne. E sorrido al pensiero di trascinarli lì con me a pedalare su uno stradone di sabbia bianca accanto ad un torrente perennemente in secca. Un gigante che schiaccia simbolicamente il Covid col proprio pugno mi dà il benvenuto nel regno della Val di Tede.
Sto salendo verso il Passo della Presolana, probabilmente l’ascesa che ho affrontato più volte in vita mia, ma quasi non me ne accorgo, se non fosse per la maestosità della Regina che mi scruta mentre prendo quota nascosto dai passaggi più comuni e conosciuti. Frodo prosegue per vie secondarie, nascondendosi nell’ombra del Parco degli Alpini di Castione e perfino sul fondo erboso delle piste da Sci del Donico, che in questa stagione sono in letargo. Il Passo della Presolana mi vede arrivare sorpreso, e stavolta non blocco il contachilometri, non cerco minuti e secondi, ma tiro il fiato contento di aver evitato il classico traffico del sabato. La discesa verso il Dezzo è invece quella classica, d’asfalto, paravalanghe e murales dei Giri d’Italia passati. Basta poco per riprendere il mio viaggio lontano dall’occhio di Sauron. La dura salita di Azzone, rifocillata da una stupenda fontana con vista, mi introduce nella Riserva Naturale Regionale dei Boschi del Giovetto. Son sicuro che gli Elfi stiano ritti dietro le cortecce sottili delle abetaie che attraverso al fresco della loro ombra.
Ci sono anche cascate, cartelli informativi sia geomorfologici che antropologici, e l’antica segheria Furfì, ora adibita a museo. Di elfi alla fine non ne vedo, troppo intento a sopportare la fatica di strappi ripidi e di discese selciate altrettanto scoscese. Vedo però la regina di questi boschi, la formica Rufa. Ne vedo una gigante e temo di far la fine di Frodo nella ragnatela di Shelob. Invece la scultura in acciaio corten di Mattia Trotta mi fa compagnia mentre mangio un paio di panini e recupero le energie. La Sponda è come sempre una pugnalata, ma ci conosciamo a vicenda. Io stringo i denti sui drittoni, lei nei tornanti e nelle gallerie dove Pantani, il Falco, Bartali e Coppi mi danno morale. Prima del Passo della Presolana, una deviazione a sinistra mi porta al Salto degli Sposi, per raccontarmi della leggenda del musicista polacco e della sua innamorata che a fine Ottocento decisero di abbracciarsi per sempre nel magnifico orizzonte dominato dal Pizzo Camino. Nelle mie orecchie risuonano note malinconiche, mentre una strada sterrata e abbastanza dolce mi scorta fino a Castello Orsetto, con tanto di cartellonistica sulla fauna locale, e ovviamente sull’orso bruno intagliato anche nel legno. Proseguo fino a Colle Vareno, il centro vivo e villeggiante di Dorga, e poi con una piccola deviazione il centro più intimo di Rusio, un presepe dormiente dove fare acqua, riprendere serenità e fare merenda.
Anello dei Laghi
Stamattina ho iniziato il viaggio godendo l’alba sui laghi di Endine e Iseo. Oggi pomeriggio, dopo averla presa larga, è ora di avvicinarmi a sfiorare le loro acque. L’avvicinamento è ovviamente inedito, per prati e campi di Songavazzo e soprattutto per la spalla idrografica destra del torrente Borlezza. Adoro scrutare in lontananza il traffico, le macchine dei turnisti parcheggiate fuori dalle aziende, mentre io sono immerso in uno scenario bucolico baciato dal sole. Non mi vergogno a dirlo, spesso in queste situazioni allargo le braccia e sospiro. Non sarò chissà dove, ma è sufficiente una piccola striscia di asfalto grossolano che taglia un prato intonso e verde per farmi sentire libero. Respiro l’odore del fieno a pieni polmoni, poi di terra, di bosco, ed infine di sudore, mentre la traccia mi mette in piedi fino al santuario della Madonna della Torre, il più antico della Diocesi di Bergamo. Frodo scruta la Val Borlezza, e può disegnare con l’immaginazione il percorso che manca, mentre inizia a essere pomeriggio inoltrato. Dopo Sovere, una scia di terra e radici scorre velocissima in un tunnel di rami e foglie che si intrecciano e si infittiscono, quasi a indicarmi che la via è giusta e che mi avvicino alla conclusione del viaggio. Eppure, la sponda del lago di Gaiano, adiacente a quello maggiore di Endine, nonché lago di bassa quota più piccolo della Lombardia, è solo a metà del circuito dei Laghi. Manca ancora la salita asfaltata fino a Solto Collina e la discesa con gli occhi colmi del Lago d’Iseo graffiato dalla forma inconfondibile della Corna Trenta Passi.
La strada a ridosso delle acque sebine, tra Riva di Solto e Lovere, è un cocktail di curve, adrenalina, archi di roccia e splendore che brillano nelle acque a pochi metri di distanza. Lovere si prepara a un aperitivo chic, io invece a uno di sostanza. Fabio e Anna portano un intero Peugeot di focacce e pizzette. E l’immancabile cochina, che dopo 14 ore di pedalate ha lo stesso effetto della tachipirina con la febbre alta. L’anello dei Laghi è il più semplice dei tre, ma affrontato dopo gli altri due, non può che essere il più duro. La vista sul lago è la mia fortuna, perché mi distrae dagli orchi della fatica mentre salgo fino a Ceratello. Ed è qui, poco sopra la bibliocabina, che affronto un’altra vera perla dei circuiti Gravity Gravel. La strada che collega Ceratello a Bossico è mozzafiato. Il panorama sul lago Iseo appare talmente vasto che gli 800 metri di quota indicati dal Garmin sembrano un errore di taratura. Frodo non si starà godendo uno spritz su un tavolino in riva al lago, ma il suo silenzio di ammirazione da quel guardrail lassù lo rende il re di quel regno. Anche se solo per poco, anche se solo nella sua testa. E i colori del tramonto ne sanciscono l’emozione. Il terzo anello non è ancora distrutto, ma è come se lo fosse. Inebriato da tanta bellezza, mi sento già arrivato.
La discesa da Bossico e la risalita fino a Clusone sono una formalità, una di quelle che affronti sorridendo come uno scemo, da solo e nel buio. La felicità che apre la porta alla stanchezza che ora può rompere gli argini non è tanto per i tre circuiti conquistati, per il brevetto Gravity Gravel chiuso in un giorno, o per i tre anelli distrutti, quanto per la bellezza vissuta nel farlo. E la cosa più bella è che non ero lontano dalla mia Terra di Mezzo. Una Terra splendida, che sì, è pure adatta al ciclismo gravel. Basta non temere la gravità, non soffrire di vertigini, e non aver paura degli Uruk-hai.
Contenuto realizzato con il contributo di Regione Lombardia, nell’ambito del bando Ogni Giorno in Lombardia, Campagna “Sempre più outdoor in ValSeriana e Scalve”
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